Fontana della Primavera di Gregorio Tedeschi 1630
L’itinerario barocco a Palermo, inizia qui, a piazza Villena,
detta piazza dei Quattro Canti, dove s’incrociano via Maqueda e corso Vittorio
Emanuele. Rappresenta il centro principale della città. I Quattro Canti o
Teatro del sole, dividono la città in quattro parti: dalla parte di occidente
si raggiunge Porta Nuova, dalla parte di oriente invece Porta Felice. Prima di
essere denominata corso Vittorio Emanuele, la via che porta al Teatro del sole,
si chiamava Cassaro (sotto la dominazione araba), poi via Marmorea (sotto
quella dei Normanni), e ancora: via Toledo.
L’itinerario barocco a Palermo, inizia qui, a piazza Villena,
detta piazza dei Quattro Canti, dove s’incrociano via Maqueda e corso Vittorio
Emanuele. Rappresenta il centro principale della città. I Quattro Canti o
Teatro del sole, dividono la città in quattro parti: dalla parte di occidente
si raggiunge Porta Nuova, dalla parte di oriente invece Porta Felice. Prima di
essere denominata corso Vittorio Emanuele, la via che porta al Teatro del sole,
si chiamava Cassaro (sotto la dominazione araba), poi via Marmorea (sotto
quella dei Normanni), e ancora: via Toledo.
Soffia un vento leggero che spazza via la polvere dal pavimento.
Impronte di un tempo passato si leggono per terra, passi consumati battono gli
anni, tempi di re spagnoli, sante e patrone.
Racchiuse tra le mura ridotte a scheletro sento l’eco di feste, voci che inneggiano la Santuzza. Calcinacci cadono dal tetto e io resto inerme ad osservare. E’ una scena che si ripete: salgo le scale, attraverso le stanze e raggiungo quella che si apre sui “Quattro Canti”.
Mi piace il via vai di gente, che corre in una danza frenetica, ignara di essere osservata dal Palazzo del Teatro del sole. Mi fermo a dare un’anima a queste pareti dalla carta ingiallita. Mi siedo al centro della stanza, dopo aver acceso una candela, e respiro il silenzio della sera, mentre fuori la gente vive, io sogno.
Le ore si consumano insieme ai ricordi: una lacrima rimbalza sulla sedia. Intanto resto lì, mentre la candela brucia. Mi abbandono sulla sedia: immagino la città come una signora elegante, garbata, voce calda come il sole, che pronuncia parole d’amore:
Racchiuse tra le mura ridotte a scheletro sento l’eco di feste, voci che inneggiano la Santuzza. Calcinacci cadono dal tetto e io resto inerme ad osservare. E’ una scena che si ripete: salgo le scale, attraverso le stanze e raggiungo quella che si apre sui “Quattro Canti”.
Mi piace il via vai di gente, che corre in una danza frenetica, ignara di essere osservata dal Palazzo del Teatro del sole. Mi fermo a dare un’anima a queste pareti dalla carta ingiallita. Mi siedo al centro della stanza, dopo aver acceso una candela, e respiro il silenzio della sera, mentre fuori la gente vive, io sogno.
Le ore si consumano insieme ai ricordi: una lacrima rimbalza sulla sedia. Intanto resto lì, mentre la candela brucia. Mi abbandono sulla sedia: immagino la città come una signora elegante, garbata, voce calda come il sole, che pronuncia parole d’amore:
“Onde che mi sfiorano, montagne fiere mi proteggono la schiena.
Venditori ambulanti accarezzano il mio manto, accompagnato dall’Abbanniata.
Venditori ambulanti accarezzano il mio manto, accompagnato dall’Abbanniata.
I mercati sono gioielli di colori, sapori e odori.
E poi l’impronta dei popoli, che mi hanno dominata, su chiese,
palazzi e teatri”.
Mi alzo vado verso il balcone, riguardo la piazza: in ammirazione, cerco di trattenermi dall’istinto di urlare il mio dolore. Vivi di nuovo tra queste mura, storia dimenticata, “Museo della città”, che conservi ancora le tue bellezze che raccontano di un tempo passato.
Mi alzo vado verso il balcone, riguardo la piazza: in ammirazione, cerco di trattenermi dall’istinto di urlare il mio dolore. Vivi di nuovo tra queste mura, storia dimenticata, “Museo della città”, che conservi ancora le tue bellezze che raccontano di un tempo passato.
Serena Marotta
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